CRITICA

Wild metal wire

2010, Anna Serraiotto

…Mattia Trotta, è un artista-scultore Italiano, che si esprime attraverso una personale ed innovativa tecnica la quale prevede la lavorazione plastica del filo metallico: acciaio, bronzo, alluminio… Un fabbro-tessitore, sembra che grazia e potenza scaturiscano congiunte dalle sue mani nell’ atto di dar forma alla materia che vibra visibilmente sotto i nostri occhi.

Una scultura senza limiti dimensionali, che già va ad abbellire diverse piazze e parchi in Italia. Filo che si scontra, ammassandosi e stratificando: dal silenzioso caos primordiale inizia l’ avventura della metamorfosi tra le dita dello scultore. I soggetti, risultano forti di una carica espressiva frutto di una lavorazione molto lenta, laboriosa come un vero e proprio artigiano che cura ogni singolo dettaglio con la medesima attenzione. Il suo modus operandi rimane sempre il figurativo, la natura, gli animali e l’uomo sono la fonte di ispirazione, esaltati nelle forme e nella bellezza.

“Pensiero, comunicazione, emozione, a collegare il tutto serve un filo. Il mio filo dona ritmo e velocità ai volumi in cui scelgo di racchiuderlo, e la mia opera fonde luci ed ombre, silenzi e caos,  cielo e terra”.

 

 

Superfici vibranti

2012

La ricerca dell’ essenzialità, immagini dell’ anima catturate attraverso un’ opera figurativa, che pone le proprie radici nell’ onirico e nel subconscio, dimensioni necessarie affinché l’interlocutore possa usufruirne. La ricerca come nel classico della perfezione anatomica, sposa l’ espressionismo che coniuga la poesia delle forme con la tensione emotiva delle superfici.

Un’ opera moderna che lunge dall’essere prodotto seriale come spesso richiesto dal mercato, ma esige lunghi periodi di realizzazione, ed una profonda e reale intimità con i temi affrontati. Il gesto dell’ artista impresso nel materiale scandisce la frequenza di vibrazioni risonanti con l’ anima.

 

 

Il caos domato

2008, Mattia Trotta

Nel filo metallico vedo il perfetto conduttore della mia creatività atta a soddisfare esigenze comunicative, provocare emozioni dirette e proclamare tra le righe il  pensiero. L’occhio è rapito dal tratto, che raramente è presente in scultura, segno palpabile, nervoso e convulso, che da’ ritmo e velocità ai volumi in cui è racchiuso.

-È il caos domato–  la frenesia della società moderna, il brusio di fondo della vita interiore, la continua lotta tra bene e male, luci ed ombre imbrigliate e convertite in opere che evocano lo stato dell’ essere, alle volte creando archetipi a cui far riferimento per riemergere dagli abissi della condizione umana.

Ad ogni linea viene data ragion d’esistere, l’ opera è solida ma il vento le passa attraverso e l’ aria entra a far parte del volume legandola all’ ambiente.

 

 

L’ avventura della metamorfosi

2011,  Maria Lucia Ferraguti

Il filo di ferro diventa per Mattia Trotta il veicolo della fantasia. Lo recupera abbandonato dagli accumuli e poi lo trasforma senza sforzo da rifiuto in oggetto d’arte. È inoltre un esempio dell’impegno, di un costante lavorìo di una manualità che arrotonda, torce, piega, flette, rialza, sovrappone ed addensa fino a sviluppare, a sorpresa, una forma scultorea. C’è un’idea chiara iniziale e di seguito l’intento della scelta, di moltiplicare le forme nel passare fra la varietà dei modelli, dall’universo della figura a quello dell’animale, dall’oggetto molto piccolo al grande. Trotta difende il filo di ferro e il suo esile volume: la sua materia corrosa, brunita, toccata da passate cromie, tra le sue mani vive lentamente l’avventura della metamorfosi, nel passare dal silenzio e dal nulla ad interpretare il sogno d’essere nido ed uccello, di flettersi nel filo di palloncini gonfiati in volo, di configurarsi in leone e crocefisso, d’interpretare l’espressività del volto di una fanciulla dai capelli al vento e quella di un corpo di bambino monumentale, per soddisfare il suo desiderio di sviluppare un racconto infinito. Trotta parla con spontaneità della sua scultura dove transita l’aria e il vento, dice di essere lui “definito” dalla sua arte, di credere nella forza e nello splendore dell’essenzialità. Di certo partecipa al continuo sentire dell’immaginazione fin da quando la padronanza della materia, per una tecnica innovativa, gli permette la sicurezza di trattare il ferro senza saldature e fusioni. Questa esperienza arricchisce le idee, gli consente d’esplorare forme plastiche imprevedibili riconducibili all’intento di “scolpire lo spazio” per via di leggerezza.

Collabora a manifestazioni teatrali con scenografie: è suo l’intervento scenografico per la Salomè di Oscar Wilde rappresentato dalla compagnia La Zonta, finalista al Premio Nazionale Maschera D’Oro (2009). Ha al suo attivo numerose esposizioni collettive e personali. Tra le quali emergono le personali a Green Home Verona (2009), la Chiesetta dell’Angelo- Bassano- Vicenza (2010).

 

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